Un commento su “Tokyo! (segmento Shaking Tokyo di Bong Joon-ho)”
Inserisco qui la mia “recensione” che accompagna la pubblicazione dei sottotitoli tradotti dal sottoscritto
Tokyo, ovvero una città ricca di contrasti e povera di calore umano (come dichiara un po’ del Giappone tutto, senza alcuna possibilità di essere capita dai suoi interlocutori, la protagonista dell’ultimo film della Kawase, Nanayomachi), appunto poco comprensibile nelle sue intime contraddizioni da un occhio esterno ed estraneo, tanto che esso tende a ricercare e trovare soddisfazione nel confermare tutti gli stereotipi che negli anni le sono stati cuciti addosso. Piena zeppa di gente che vive accalcata ed ammassata (non a caso è l’agglomerato urbano più popoloso della Terra) eppure o molto probabilmente proprio per questo timorosa nell’esprimersi appieno nei rapporti interpersonali, chiusa in comparti stagni di regole comportamentali esasperatamente codificate. Città in cui balza all’occhio (solo straniero? Non credo) il modo maniacale col quale la natura è stata piegata dall’uomo al suo volere, al suo gusto estetico raffinato e che non lascia nulla al caso e fuori posto, nemmeno un ago di pino. Eppure, ed anche in questo molto probabilmente proprio per questo, capace, come poche altre al mondo, di lasciarsi orgogliosamente invadere per pochi effimeri giorni da un manto di petali di un albero considerato tesoro nazionale.
Essenzialmente questo trittico piuttosto disomogeneo, sia dal punto di vista formale che dei contenuti oltre che della decisione con la quale vengono esposte le reciproche visioni, mi ricorda (pur non avendone mai letto nessuno, visti i prezzi a mio parere eccessivi e la qualità guarda caso fin troppo disomogenea) quelle raccolte di fumetti fatti da autori stranieri che raccontano per immagini attraverso uno strumento caro ai giapponesi la visione o l’impressione che il mondo giapponese ha avuto sugli autori stessi, ovviamente più o meno filtrata dal modo di vedere, pensare e disegnare dell’autore straniero in terra straniera. Come sempre ognuno avrà il suo episodio preferito, quello che ha toccato maggiormente le sue corde così come quello che gli è rimasto più indigesto oppure ha deluso le sue aspettative. Io ad esempio attendevo con una certa ansia lo spezzone di Gondry, uno dei registi che seguo con maggiore entusiasmo, alla prova con un soggetto tratto da un fumetto ambientato a New York (che potete tranquillamente scaricare qua) ma che è riuscito perfettamente ad integrare a Tokyo con le sue peculiarità (gli appartamenti minuscoli) e i suoi tic (la maniacalità sul lavoro), lasciando il “resto” piuttosto inalterato rispetto all’originale, segno di una conclamata omologazione e globalizzazione che ha nelle città più sviluppate la punta dell’iceberg. Il breve fumetto e soprattutto la sua chiave di volta sono perfettamente congeniali allo stile surreale di Gondry, mentre gli altri due episodi mi sembrano più “forzati” nell’utilizzo delle loro metafore, fin troppo esplicite del caso di Carax e della sua “merda d’artista” e poco incisive nel caso di Bong Joon-ho. Mentre Carax punta il dito contro la violenza perpetrata ai danni di Madre Natura da parte di un animale, l’uomo, troppo attaccato al denaro e all’esteriorità (da qui la scelta di far uscire la godzilliana creatura delle fogne dai tombini di Ginza), Bong descrive attraverso una singolare storia d’amore la presa di coscienza, da parte di un isolato cronico, che al di fuori della propria casa esiste un mondo non così ostile col quale con un piccolo grande sforzo può lentamente riappacificarsi. Laddove Gondry racconta con humour la fuga dalla massa del singolo per riappropriarsi della propria identità e Bong al contrario con malinconia ma speranza mostra un esempio di ritorno alla massa e alla vita sociale, Carax dipinge a tinte forti un prodotto (organico 😉 generato dalla massa stessa e che un po’ come i rifiuti in Italia si “ribellano” al proprio creatore che però non ha imparato (né è destinato a farlo) dai propri errori.
Inserisco qui la mia “recensione” che accompagna la pubblicazione dei sottotitoli tradotti dal sottoscritto
Tokyo, ovvero una città ricca di contrasti e povera di calore umano
(come dichiara un po’ del Giappone tutto, senza alcuna possibilità di
essere capita dai suoi interlocutori, la protagonista dell’ultimo film
della Kawase, Nanayomachi), appunto poco comprensibile nelle sue intime
contraddizioni da un occhio esterno ed estraneo, tanto che esso tende a
ricercare e trovare soddisfazione nel confermare tutti gli stereotipi
che negli anni le sono stati cuciti addosso. Piena zeppa di gente che
vive accalcata ed ammassata (non a caso è l’agglomerato urbano più
popoloso della Terra) eppure o molto probabilmente proprio per questo
timorosa nell’esprimersi appieno nei rapporti interpersonali, chiusa in
comparti stagni di regole comportamentali esasperatamente codificate.
Città in cui balza all’occhio (solo straniero? Non credo) il modo
maniacale col quale la natura è stata piegata dall’uomo al suo volere,
al suo gusto estetico raffinato e che non lascia nulla al caso e fuori
posto, nemmeno un ago di pino. Eppure, ed anche in questo molto
probabilmente proprio per questo, capace, come poche altre al mondo, di
lasciarsi orgogliosamente invadere per pochi effimeri giorni da un
manto di petali di un albero considerato tesoro nazionale.
Essenzialmente questo trittico piuttosto disomogeneo, sia dal punto di
vista formale che dei contenuti oltre che della decisione con la quale
vengono esposte le reciproche visioni, mi ricorda (pur non avendone mai
letto nessuno, visti i prezzi a mio parere eccessivi e la qualità
guarda caso fin troppo disomogenea) quelle raccolte di fumetti fatti da
autori stranieri che raccontano per immagini attraverso uno strumento
caro ai giapponesi la visione o l’impressione che il mondo giapponese
ha avuto sugli autori stessi, ovviamente più o meno filtrata dal modo
di vedere, pensare e disegnare dell’autore straniero in terra straniera.
Come
sempre ognuno avrà il suo episodio preferito, quello che ha toccato
maggiormente le sue corde così come quello che gli è rimasto più
indigesto oppure ha deluso le sue aspettative. Io ad esempio attendevo
con una certa ansia lo spezzone di Gondry, uno dei registi che seguo
con maggiore entusiasmo, alla prova con un soggetto tratto da un
fumetto ambientato a New York (che potete tranquillamente scaricare qua)
ma che è riuscito perfettamente ad integrare a Tokyo con le sue
peculiarità (gli appartamenti minuscoli) e i suoi tic (la maniacalità
sul lavoro), lasciando il “resto” piuttosto inalterato rispetto
all’originale, segno di una conclamata omologazione e globalizzazione
che ha nelle città più sviluppate la punta dell’iceberg.
Il breve
fumetto e soprattutto la sua chiave di volta sono perfettamente
congeniali allo stile surreale di Gondry, mentre gli altri due episodi
mi sembrano più “forzati” nell’utilizzo delle loro metafore, fin troppo
esplicite del caso di Carax e della sua “merda d’artista” e poco
incisive nel caso di Bong Joon-ho. Mentre Carax punta il dito contro la
violenza perpetrata ai danni di Madre Natura da parte di un animale,
l’uomo, troppo attaccato al denaro e all’esteriorità (da qui la scelta
di far uscire la godzilliana creatura delle fogne dai tombini di
Ginza), Bong descrive attraverso una singolare storia d’amore la presa
di coscienza, da parte di un isolato cronico, che al di fuori della
propria casa esiste un mondo non così ostile col quale con un piccolo
grande sforzo può lentamente riappacificarsi. Laddove Gondry racconta
con humour la fuga dalla massa del singolo per riappropriarsi della
propria identità e Bong al contrario con malinconia ma speranza mostra
un esempio di ritorno alla massa e alla vita sociale, Carax dipinge a
tinte forti un prodotto (organico 😉 generato dalla massa stessa e che
un po’ come i rifiuti in Italia si “ribellano” al proprio creatore che
però non ha imparato (né è destinato a farlo) dai propri errori.